domenica 9 marzo 2008

Caro Fausto, se non ora... quando?

di Gianni Marchetto – Presidente dell’Associazione Esperienza & Mappe Grezze

I sogni e le grandi opere

caro Fausto, tu hai avuto il merito di aver detto che in occasione delle passate elezioni americane un giornalista americano era del tutto stupito dalla dichiarazione di una donna nera, povera, americana che decideva di votare per Busch la quale, intervistata dal giornalista, così aveva risposto: “non ho niente, almeno lasciatemi sognare”.

Tu giustamente calchi la mano su un “diverso sviluppo economico, su una diversa società, su una diversa qualità di relazione tra le persone, eccetera”. Occorre però a mio modesto avviso “farle venire giù dal pero” queste proposizioni. Molto concrete e al tempo stesso che siano possibili di muovere le persone a ritrovarsi con le proprie speranze e i propri sogni. Per cui dal concreto occorre pensare a delle “grandi opere”. In gioventù io, te e milioni di altre persone pensavamo ad una grande opera: edificare il socialismo!


Attualmente mi sento umiliato e incazzato. Umiliato perché mai avrei creduto, se me lo avessero detto 30 anni fa, che il papa e vari cardinali, il presidente della Repubblica e, da ultimo, anche lo stato maggiore di Confindustria e Mario Monti si sarebbero pronunciati pubblicamente e con tanta frequenza in difesa delle condizioni materiali dei lavoratori dipendenti, della loro integrità fisica, dei loro redditi, con toni compassionevoli, accorati, che un po’ ricordano i toni di quelle dame di S. Vincenzo che erano tanto “attaccate” ai “loro” poveri. Così attaccate da avere cura di conservarli nella povertà nei secoli;

Salvo Giorgio Napolitano (che ha il pregio di aver risollevato le questioni della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) il resto.. vadano tutti al diavolo!

Se questo è il liberismo compassionevole, che schifo ragazzi!

Incazzato perché vorrei che qualcuno facesse le mie parti: io sono un ex operaio di mestiere, trasformavo l’acciaio: negli anni ’60 facevo attrezzature per le transfert alla FIAT Officine Ausiliarie di Grugliasco (oggi COMAU) – negli anni ’70 facevo stampi ed attrezzature in una officina ausiliaria delle FIAT Fonderie;

Ma questo vale anche per un operaio alla catena di montaggio perché dipende dal lavoro suo (è vero, molto povero e stupido: attorno a qualche manciata di secondi o quando va bene a qualche manciata di minuti) che però, sommato a quello di centinaia di suoi compagni di lavoro produce poi un’auto, un frigo, un televisore, ecc. E non è certo colpa sua se il suo padrone sfrutta il suo cervello per “un milionesimo delle sue capacità” – a proposito di produttività, la quale si potrebbe declinare nella attualissima: fare il massimo con il minimo sforzo! Così come suggeriva Norbert Wiener nel 1949 nel suo saggio: L’uso inumano degli esseri umani.

1° grande opera – Bonificare quella grande discarica molte volte abusiva e in parte in mano ai malavitosi, (vedi il bellissimo libro di Roberto Saviano “Gomorra”) che è la struttura industriale e produttiva della piccola impresa del nostro paese.

Oggi si chiacchiera e basta anche a sinistra, quando ci sarebbero cose concretissime da fare subito. Ci si sdegna per le morti sul lavoro ma il punto è che, nell'edilizia, solo per fare un esempio, il 90% delle imprese conta meno di 10 addetti. Lì, i sindacati non ci sono, ne’ ci saranno mai, la 626 non vale e gli ispettori, solo in Piemonte, sono sottodimensionati del 22% rispetto alla pianta organica prevista. Perché allora nessuno ha mai pensato di affidare la responsabilità ai sindaci i quali possono contare su uno stuolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria che sono i Vigili Urbani, che opportunamente formati possono diventare delle vere e proprie sentinelle del territorio (che loro, tra l'altro conoscono a menadito). Ai Sindaci, a coloro cioè a cui spetta la firma delle stesse licenze edilizie e di qualsiasi altra attività industriale o commerciale che si svolga nel territorio comunale?

Ovvero perché non promuovere a livello di ogni singolo comune la costruzione del Tabellone Comunale di Rischio: una volta l'anno il Sindaco convoca le parti sociali (i Datori di lavoro e i Sindacati) e sulla base delle morti, degli infortuni e delle malattie professionali che i vari Enti (dall'INAIL, alle ASL, ecc.) gli passano, formula delle proposte di riduzione del rischio, anno per anno. Quindi occupandosi sul serio della salute dei cittadini di cui lui è responsabile, non solo per quel che riguarda le "polveri sottili" per le quali impedisce (giustamente) in determinati giorni l'uso delle auto.

La produzione continua di nuove leggi è il baco della sinistra italiana, sia radicale che riformista. Muore un lavoratore e quasi in automatico si dice, «serve una legge». Ma le leggi ci sono, anzi abbiamo le leggi forse più rigorose ma anche le meno applicate. Non si fanno invece quelle che sarebbero necessarie.

Chi è questo imprenditore? In genere è un ex lavoratore con una buona professionalità. Il nostro ha chiaro un obiettivo: farsi ricco in fretta (almeno questa è la sua chiara aspirazione). Non sa nulla del Diritto del Lavoro in Italia. Della Legislazione alla Salute e Sicurezza, (se del caso è lui che ha la responsabilità del SPP), sa quello che gli hanno insegnato nel breve corso che gli ha fatto la sua associazione di categoria (es. la CNA). In questo caso deve comunicare all’ASL di competenza i rischi presenti nella sua impresa, gli infortuni e le M.P. accaduti negli ultimi 3 anni, e notificare con un attestato di frequenza la formazione ricevuta. Nel caso contrario ha delegato tale funzione a un tecnico esterno (ben pagato) che gli ha redatto il DVR (fatto solitamente a “ciclostile”). Occorrerebbe che lo stato preveda lui, quanto meno prima della sua “intrapresa”, di fargli fare un breve corso di formazione (“a gratis”) ed un relativo esame per poter fare l’imprenditore non fosse altro per salvaguardare pure lui dagli infortuni (ben il 40% ci dice l’INAIL investono i “padroncini”). Anche le imprese dovrebbero avere una «patente».

Bisogna prendere atto che in primo luogo è cambiata l'impresa. Più dell’80% dei 4 milioni ca. di imprese italiane conta meno di 15 dipendenti, e lì spesso il padrone è un ex operaio, ex impiegato o un ex tecnico. Portano in dote una buona professionalità, ma per il resto sono dei "caproni": non sanno niente sul Diritto sul lavoro ne tantomeno sulle norme di Igiene e Sicurezza. Pensano per es. che il 30% ca. di oneri sociali a carico delle imprese siano soldi suoi quando invece, sono del lavoratore, per il quale l'impresa fa da tramite nei confronti dello stato (appunto in Italia e in Europa a differenza che negli USA, si chiama "stato sociale"). Così come non sapevano nulla quando erano dei lavoratori dipendenti e non si capisce per quale arcana ragione una volta diventati "imprenditori" dovrebbero sapere di tutto ciò. I Sindacati non glielo hanno mai detto (magari non li ha mai incontrati), così come non glielo ha mai detto nè la sua associazione ne tantomeno lo stato. Questa è, a mio avviso, una delle ragioni per cui sono tanto imbufaliti nel pagare le tasse: “ma come io lavoro come un cane, faccio più ore dei miei dipendenti e alla fine, guarda qui che pacco di soldi mi tocca pagare di tasse a questo stato, pieno di fannulloni”. Tra l'altro sono anche loro a morire sul lavoro, il 40% delle morti e degli infortuni sul lavoro secondo l'Inail. Per cui un 30, 40% di responsabilità ce l'hanno loro, ma per il 60, 70% è responsabilità di questo stato inetto, imbelle, incapace che non pretende alcuna responsabilità sociale per chi fa "intrapresa", alla faccia di ciò che è scritto nella nostra carta costituzionale.

Le imprese medie e grandi si sono ripulite e ammodernate, esternalizzando spesso le lavorazioni più pericolose, quelle piccole invece non hanno i soldi per fare innovazione, che poi significa «sicurezza». Le produzioni, salvo una minoranza sono improntate a fare delle “carabattole”. In pratica ci ritroviamo di fronte ad una grande "discarica" molte volte abusiva e in mani malavitose (specie al Sud). Ciò non toglie ovviamente di riconoscere che ci sono eccome delle piccole aziende che producono bene, fanno profitti senza cavare il collo ai propri lavoratori, in mezzo ad un mare di difficoltà. Imprese che andrebbero premiate e fatte conoscere ai più attraverso una "banca delle buone pratiche". Invece nella sinistra c'è un amore appassionato verso tutto ciò che va male. Emilio Pugno mi diceva una autentica passione per "mettere il lievito sulla merda"!

La situazione della piccola impresa italiana è una discarica industriale e produttiva del nostro apparato industriale produttivo. Li ci puoi trovare di tutto: dai morti, alla catena infernale degli infortuni, non tutti denunciati, al lavoro nero, sottopagato, al massimo della precarietà, alla evasione fiscale, contributiva e un eccetera lunghissimo. Altro che "polo produttivo avanzato" (il nord est italiano) come vanno dicendo i vari Fassino, Veltroni, D'Alema. È una delle solite banalità dire che il padroncino è anch’esso uno che lavora, personalmente lo so da sempre, alcune volte si ferma sul lavoro dopo la fine dell’orario di lavoro, però ciò che fa la differenza con i suoi dipendenti è che se gli va bene lui si fa i soldi (ed è giusto) e se un giorno ha le palle in giostra può benissimo licenziare il suo dipendente (vedi la non tutela dell’art. 18). Io affermo che questa realtà produttiva è invece una sorta di "palla al piede" che inchioda lo sviluppo italiano. È vero è intollerabile che per aprire un’impresa ci vogliano ben 80 adempimenti (perché il buon Veltroni ci pensa solo adesso!), ma tornando al problema della sicurezza è come se da domani, per prendere la patente, invece di andare a scuola guida, ciascuno prendesse la macchina e iniziasse a guidare: pensa un po' te quale bordello succederebbe, visto quello che già viene combinato annualmente con ca. 10.000 morti all'anno sulle nostre strade. E no!, l’auto (l’impresa) è del padroncino, ma la chiave (la patente per esercitare) la deve avere in mano lo stato, il quale “a gratis” si incaricherà di fare la formazione e una volta che sarà promosso, immediatamente potrà aprire la sua attività. Questa è la situazione di una buona parte dell'impresa italiana oggi. Andrebbe bonificata, risanata.

Va fatta una operazione verità: i costi di mancata salute

La situazione al 1996
4 morti al giorno;
897.913 infortuni (fonte INAIL);
29.000 ca. malattie professionali denunciate all'INAIL;
Costo in mancata salute = 55mila miliardi di Lire;

La situazione al 2006
4 morti al giorno;
916.000 infortuni (con una stima di ca. 200.000 infortuni non denunciati);
24.000 ca. malattie professionali denunciate all'INAIL;
Costo in mancata salute 40 milioni di € (ca. 80mila miliardi di Lire) = 3% del PIL;

Sapendo che l’OIL stima che in Europa le morti per le malattie di origine professionale siano il quadruplo di quelle per infortuni.

Sarebbe questa sì una delle grandi opere che uno stato decente dovrebbe porsi, imparando ovviamente da alcune esperienze positive per es. i consorzi o il ruolo positivo del CNA in Emilia Romagna che hanno dato la possibilità a centinaia di piccole imprese di avere a disposizione enti di ricerca, consulenze e formazione. Altro che la TAV e le sue ruberie. E' questo il dato tragico, e le responsabilità maggiori sono dello Stato e del sistema degli Enti Locali. Ma di quale "lotta di classe" si va mai cianciando: io in anni e anni, di mia attività da sindacalista, non ho mai visto cortei di lavoratori di queste aziende, aggirarsi inferociti per le strade delle nostre città. Norberto Bobbio giustamente faceva notare che lo stato è però una astrazione, sono gli uomini nelle istituzioni e nelle aule parlamentari che in carne ossa lo rappresentano: molte volte, incapaci, inetti, parolai, in alcuni casi corrotti, comunque oltre modo pagati.

Caro Fausto, se non ora, quando?

2° grande opera: riscoprire le nostre radici, andare alla creazione di “moderne società di mutuo soccorso” a partire dalla creazione di Spacci Territoriali.

Se persino la Banca d'Italia certifica che salari e pensioni sono inadeguati, forse il sindacato non sta facendo il suo mestiere. La mia generazione ha vinto una battaglia storica su un punto: «la salute non si vende», anche se nelle assemblee in fabbrica c'era sempre qualcuno, dalle ultime file, che aggiungeva, «ma neanche si regala». La monetizzazione oggi è rientrata dalla finestra, complici anche i salari da fame per cui si è disposti a lavorare sempre più ore, pur di mettere due euro in più in busta paga. Avevamo vinto negli anni '70, ma abbiamo lasciato dietro di noi vigneti infestati dalla peronospera e dalla filossera (è la peste delle viti) che non fanno più uva buona ne vino buono.

Siamo già in ritardo: io aspetto che il mio sindacato, lo SPI CGIL, oltre che fare da “gabelliere” per uno stato inetto e incapace (con il lavoro immane sulla denuncia dei redditi) mi chiami ad una manifestazione per la difesa e il miglioramento della mia pensione (1.175 € al mese!) per pretendere un automatismo automatico (annuale) al 100% rispetto agli aumenti del costo della vita.

Perché non provare a riscoprire le nostre origini che affondano nella solidarietà: occorre costruire delle moderne società di mutuo soccorso, a partire dalla gestione di spacci territoriali per dare la possibilità alla povera gente di andare a comperare a prezzi accessibili, per permettere loro di arrivare alla fine del mese, mettendo a confronto il produttore con il consumatore. Perché questa proposta non diventa attività concreta delle amministrazioni di sinistra, con il concorso attivo dalla Cooperazione di consumo che deve offrire dei punti dedicati a tale iniziativa? Perché è il solo Marchionne che ha costruito lo spaccio aziendale alla Mirafiori per i "suoi" dipendenti? Sono tra coloro i quali per un anno lo mettemmo in piedi vicino alla Mirafiori nel 1972/73. Era una iniziativa presa da CGIL CISL UIL di allora.

E' tempo di metterci mano, perchè all'orizzonte si profilano tempi molto brutti, vedi la recessione americana che nel nostro paese si scaricherà con ondate di CIG, CIGS, licenzianmenti, aumenti continui dei prezzi, dovuti questi all'unica vera indicizzazione oggi esistente: il prezzo del petrolio, che si tira dietro ogni altro aumento.

Caro Fausto, se non ora, quando?

3° grande opera: togliere la produzione dell’auto dal terreno della competitività dei costi e metterlo sul terreno della competitività dei modelli (di mobilità urbana)

1. Ricomperare dalla Francia la FIAT Ferroviaria: è stato un autentico delitto quello di averla venduta – va recuperata e a partire da questo disegnare un progetto di svecchiamento del parco treni, delle strade ferrate, così come va fatto un ragionamento sulla possibilità di far transitare determinate merci via mare: ma su questo primo capitolo vanno recuperate interessanti annotazioni e proposte che in tutti questi anni sono state fatte. Occorre recuperare il sapere di una serie di tecnici.

2. Le vetture di eccellenza - Berlusconi aveva ragione quando nel pieno della crisi della FIAT propose di fare le vetture di eccellenza con il marchio Ferrari: occorre produrre le macchine per i ricchi i quali nel breve, medio e lungo periodo continueranno ad esserci (in Italia e altrove) e ad avere tanti quattrini da spendere. Fare le vetture di eccellenza: per chi la vuole ci sarà pure un allestimento riguardante l’interno della vettura foderato in “pelle umana” - basta pagarla!

3. Togliere la produzione dell’auto dal terreno della competitività e offrirla come servizio ai cittadini: quasi alla stregua della sanità, della scuola, ecc. (per questo è lo stato che deve garantire, esempio: un consorzio delle città d’Italia con più di 100.000 abitanti);
Se l’auto diventa un servizio a disposizione dei cittadini deve avere delle qualità di “servizio”, deve ovviamente essere pagato (poco), quindi deve costare poco, il prodotto deve essere semplice ed essenziale nella produzione, per la manutenzione e lo smontaggio finale, il consumo va contenuto al massimo e deve essere ecologicamente compatibile – deve essere compatibile con la struttura delle città italiane nate nel medio evo quando passavano cavalli e carretti, città che giustamente vogliamo mantenere (mi sa tanto che la cosa riguarda anche l’ambito europeo) – deve avere un uso privilegiato nelle città: a fronte di ingombri contenuti e di carburanti ecologici queste vetture potranno accedere in luoghi dove altre vetture (quelle per i ricchi) non potranno accedere.

In sintesi penso ad una vettura che assomigli alla prima FORD T4: nera ed essenziale – Ford dall’inizio nel 1908 fino al 1930 ne produsse più di 10 milioni e dava in dotazione al cliente un kit provvisto persino di attrezzi per pulire il carburatore, smerigliare in proprio le valvole, le quali a fronte dell’uso di carburanti molto più sporchi degli attuali intasavano il carburatore e facevano croste nelle valvole. Penso ad una vettura che assomigli un po’ alla vecchie macchine da cucire Singer che ancora adesso in qualche casa fanno bella mostra di sé e funzionano ancora: quindi una vettura che duri almeno 10 anni – e che sia possibile una manutenzione facile ed efficace: l’elettronica applicata a tali vetture in termini di sensori nei punti critici mi pare la soluzione (così come sono le vetture ad oggi le più moderne).

Per durare 10 anni occorre passare dagli attuali motori fatti a “quadro” (= alesaggio del pistone molto largo, uguale alla corsa del pistone: il modello delle macchine da corsa!), quindi motori che fanno migliaia di giri al minuto, con cilindrate sempre crescenti, con più di due valvole, con potenze elevate, quindi motori energivori, a motori fatti a “rettangolo” (l’alesaggio più piccolo della corsa del pistone): motori a basse cilindrate, con solo due valvole, pochi i giri del motore, potenze contenute per permettere consumi più che contenuti e durare nel tempo – con cambi essenziali (3 marce?) – velocità più che contenute, visto l’utilizzo prevalente nelle città.
La scocca più che spartana – vanno previste delle vetture a due posti (delle Smart senza tutte le sofisticazioni che le caratterizzano attualmente) – l’interno della vettura spartano alla maniera delle “vecchie” 2CV della Citroen.

Conosco già le obiezioni, rispondo: la prima motorizzazione in Italia e in Europa avvenne con vetture di 495 cc., 600 cc., 1.100 cc., (le FIAT 500, 600 e 1.100) e analogamente in Francia con le 2CV e la Renault 4! E con queste vetture una intera generazione fece dei viaggi lunghissimi: fino a Parigi, Budapest, Istanbul, Spagna, Portogallo, ecc. Ma cosa è possibile prevedere per i prossimi anni? Una diminuzione del prezzo del petrolio? Delle barriere doganali nei confronti dei prodotti che arrivano dalla Cina? Eccetera… ovvero è la “Cinquecento” il modello alternativo all’attuale mobilità?

Penso ad una diffusione del modello Car Sharing (attualmente in via di sperimentazione anche a Torino con costi molto alti): a Venaria penso a 3 o 4 punti di prelievo e riconsegna di queste vetture. Un giorno devo venire a Torino: vado in uno di questi punti e affitto una 2 posti, voglio andare al mare: vado in uno di questi punti e affitto un camper, ne ho bisogno per lavoro: affitto per un periodo considerato una vettura che fa alla bisogna, ecc..

In pratica, così come nessuno di noi dice mai: il mio telefono, bisogna abituare una fetta crescente di italiani a non dire mai: la mia auto.

In fondo questa mia proposta è una rivisitazione (in positivo) della proposta della “vetturetta” fatta nei lontani primi anni ’50 dai compagni di allora: allora si iscriveva tutta in una logica industrialista ed era delegata al grande capitale, ora avviene in una logica di servizio tutta in mano allo stato (e a quei privati che vogliono correre l’avventura).

Caro Fausto, se non ora, quando?

4° grande opera: un diverso uso del tempo

20 ore di lavoro produttivo, 8 ore di lavoro riproduttivo (in senso lato) e 8 ore di formazione – evidentemente cumulabili e utilizzabili nel tempo.

· Io così ragiono oggi, rispetto anche alla riduzione di orario di lavoro. Non mi entusiasma più di tanto la RO a 35 ore perché rimane tutta in una logica industrialista. Un diverso e innovato uso del tempo che tenti di andare oltre la divisione storica del lavoro produttivo e riproduttivo (che in ultima analisi è anche gran parte della divisione del lavoro tra uomo e donna).
· Certamente vanno battute (o comunque va fatta resistenza) verso tutte quelle forme di riduzione di orario che tendono a ridurre la settimana con un allungamento della giornata lavorativa. Ne andrebbe della integrità psico-fisica dei lavoratori, nei fatti riducendo il lavoro al solo salario e il tempo "libero" dedicato al solo consumo. Sarebbe il trionfo del modello americano (in Italia!), costruendo un individuo sostanzialmente schizofrenico, che accetta un lavoro stupido ed eterodiretto in fabbrica, con una falsa possibilità di realizzarsi fuori.
· Quindi il problema di un superamento della divisione del lavoro continua ad esistere, anche e soprattutto nella fabbrica integrata, in quanto il nocciolo duro del Taylorismo, la divisione tra chi pensa e chi esegue, non viene minimamente scalfito.
· Invece vanno sperimentate tutte quelle forme di un diverso uso del tempo nella accezione che dicevo più sopra. Rifaccio la proposta:


* 20 ore di lavoro produttivo
* 8 ore di lavoro riproduttivo
* 8 ore di formazione, professionale e/o culturale


· La scansione delle tre fette di orario risponde ciascuna ai problemi della società moderna. La prima (le 20 ore, con una ipotesi settimanale sui 5/6 giorni lavorativi), risponde alla necessità di ridistribuire il lavoro esistente. La seconda entra dentro la crisi dello stato sociale evitandone lo sfaldamento (con un rapporto di lavoro sostanzialmente fatto dagli Enti Locali), tra l'altro il costo sarebbe compensato da un recupero produttivo della CIG, CIGS, Mobilità, ma ancora di più da un dato culturale che nel tempo si può realizzare e cioè quello di avere un individuo, costruito anche da una attività non direttamente produttivistica, ma su una attività dove l'accento non viene solo dall'efficienza ma dell'efficacia del suo lavoro. La terza, vuole essere nei fatti il superamento della logica borghese sulla formazione degli individui, che vuole l'individuo interessato ai processi formativi quasi esclusivamente nella età giovanile e poi tutta la vita dedicata al lavoro.

· In pratica io scelgo lo stato per la sua capacità di creare il “lavoro di efficacia” e il sistema delle imprese per il “lavoro di efficienza”.

· In URSS c’era una netta divisione tra quello che io chiamo il lavoro di efficacia e quello di efficienza – il lavoro di efficacia oltre che alla cura delle persone e la loro istruzione, era volto alla produzione di strumenti di morte = le armi (perché è questa una attività dove appunto il lavoro lo si misura attraverso l’efficacia = una mitragliatrice deve sparare sempre senza mai incepparsi, un aereo deve stare sempre in aria, ecc.), il lavoro di efficienza verso la produzione di beni di consumo durevoli (dove appunto il lavoro lo si misura attraverso l’efficienza = quanta produzione oraria). Intanto una prima contraddizione nella costruzione del socialismo = che il meglio della capacità, della scienza e della tecnica era tutto fiondato sulla produzione di strumenti di morte! Quando Lenin aveva vinto la sua battaglia per la egemonia sulla parola d’ordine: Basta con le guerre e la terra ai contadini! Mentre sul lavoro di efficienza c’era la maggiore inefficienza e lo sbattimento generale! Quel tanto che se c'era una analogia tra l'URSS e l'Italia questa era rappresentata dai due "partiti stato", in URSS il PCUS in Italia la DC. In ambedue una minoranza molto motivata e a servizio del bene comune, ma la maggioranza tutta dedita al propio tornaconto personale, al potere e parecchi fino alla corruzione. Basta vedere la fine di entrambi!

più democrazia è uguale a più produttività

· Intanto occorre dire che nella nostra cultura, democrazia e produttività sono sempre state considerate delle antinomie. Allora occorre essere consapevoli che se non si vuole essere dei parolai occorre dimostrare nei fatti e sul campo che i due termini si possono sposare e convivere felicemente insieme. Così come i padroni riescono a dimostrare con i fatti e non con le parole un ben altro assioma: più comando = più produttività.

· Infatti si può benissimo dire che la fabbrica taylorista – fordista e post-fordista vive su un altro assunto: la mancanza di democrazia.

· Nel 1982 a Torino facemmo un corso delle 150 ore all’Università con il compagno Prof. Oddone mettendo a confronto 3 situazioni: il comune di Torino, l’USL 1-4 di Torino e la FIAT Mirafiori – le leggemmo attraverso l’assunto: + democrazia = + produttività e cosa scoprimmo? Che l’assunto dava una risposta positiva alla FIAT Mirafiori!

· Nel saggio “L’uso inumano dell’essere umano” di N. Wiener ad un certo punto si dice: “nell’epoca dello schiavismo, un essere umano legato al remo di una galera era usato solo come fonte di energia, così come oggi nella fabbrica moderna l’essere umano è costretto alla catena di montaggio e quindi alla ripetizione stupida di alcuni manciate di secondi di attività, ne viene che l’uomo moderno è utilizzato per un milionesimo delle sue capacità” – in pratica l’essere umano moderno non è “sfruttato”, se per sfruttamento si intende le sue capacità mentali.

· Allora si pone la vera sfida con il capitalismo globalizzato – progettare un lavoro e una fabbrica dove maggiore produttività sia insieme a maggiore democrazia. Se non ci si pone questa sfida la battaglia è persa in partenza.

. È evidente che è un assunto che va dimostrato nella pratica – in pratica è prima di tutto una sfida a noi stessi prima ancora che al padrone.

· Ivar Oddone mi ha insegnato a fare delle ricerche “irrituali”: non leggere solo la normalità che nella fase attuale è solo “sghinga”, ma leggere la “devianza” (evidentemente quella a carattere positivo). Domanda: nella fase attuale è possibile rintracciare delle esperienze positive per farle diventare come diceva A. Gramsci, “ordine morale” per il rimanente dei lavoratori?

· Io so che: 1° alla GM negli USA tra i lavoratori stabili c’è in atto da decenni il salario indicizzato – 2° nelle grandi aziende giapponesi il 30% dei lavoratori è assunto a vita con il diritto di prelazione per i propri familiari – 3° in Germania alla Wolkswagen è in atto un interessante esperimento nell’ultimo stabilimento costruito che vede l’intera mano d’opera suddivisa in 2 o 3 categorie a salari uguali all’interno di ogni categoria (all’IRES-CGIL di Torino vi sono gli atti di un convegno tenuto lo scorso anno). Aggiungo che in tale stabilimento ci è raggiunto il massimo di produttività (riferito agli stabilimenti della WV) con il minimo di assenteismo. E "in natura c'è un eccetera molto ampio di esempi positivi da recuperare per poter essere socializzati (vedi l'uso per es. di Internet) e imitati.

Capisco ma non condivido le probabili obiezioni: ma queste proposte sono roba da società socialista: 1° perché il demandare ad un futuro “socialista” i problemi concreti dell’oggi significa non tentare di risolverli adesso, qui e ora – 2° perché è un’idea che ha già fallito (vedi i paesi dell’Est) – 3° perché occorre inverare nella realtà attuale le ipotesi di soluzioni che si potranno avere un domani.

Caro Fausto, se non ora, quando?

5° grande opera: ritorniamo ai Delegati

Mi viene in mente gli anni ’60 quando a Torino il gruppo dirigente della CGIL (massacrato dalle botte degli anni ’50, dalla FIAT, con la complicità degli altri sindacati) fece una proposta radicale sia sulla contrattazione articolata ma anche la più coraggiosa sull’unità dei lavoratori “suicidando” le allora Commissioni Interne per favorire la nascita del Delegato di Gruppo Omogeneo e quindi per questa via avviando una nuova unità tra i sindacati.

Bene – io penso che accanto ad una proposta radicale e realista di contrattazione, che intanto passa da un periodo di resistenza sulle condizioni di lavoro per andare poi verso una serie di proposte concrete. Occorre che noi facciamo una proposta di unità dei lavoratori e dei loro sindacati – si tratta di ragionare serenamente sulle RSU e di pensare ad una proposta che veda un mix di presenza operaia e sindacale in fabbrica – il 50% eletto su scheda bianca con compiti di negoziazione sulla condizione lavorativa con la gerarchia di officina, a partire dai RLS per es. – un altro 50% eletto su liste con compiti di rappresentanza dei sindacati nei confronti delle direzioni del personale. So che la cosa è contraddittoria e porterebbe a qualche inevitabile conflitto. Però e meglio della attuale morta gora.

Morta gora dovuta alla cosiddetta “passivizzazione” dei lavoratori e specialmente delle nuove generazioni – bene, però non ci si può permettere di osservare il fenomeno e basta – cosa serve in concreto per passare da un atteggiamento passivo ad un comportamento attivo? Serve mettere nelle grane i lavoratori! E metterli nelle grane significa dare loro ruolo e compiti da sbrigare in prima persona, senza delegare ad alcuno la soluzione dei problemi che direttamente li riguardano..

· Perché il consolidamento "conservatore" (a tutti i livelli, dal semplice delegato all'ultimo dei dirigenti) di una esistenza e di una pratica di status che per molti aspetti somiglia a certi fenomeni conosciuti nei paesi dell'Est ci deve guidare verso questa soluzione;
· Perché è intervenuta una rottura di memoria storica nelle nuove generazioni operaie (e non) che non permette per il momento il recupero del meglio delle esperienze di intraprendenza e autonomia delle passate generazioni - il tutto aggravato da un processo di implosione ed entropia a tutti i livelli della attività sindacale dove non misuri solamente incapacità individuali e collettive (che pur ci sono), piuttosto una caduta rovinosa di “imprenditorialità quotidiana”.
· In concreto, io penso a forme di rappresentanza diretta dei lavoratori su problemi della capacità di lavoro e di guadagno. La forma del Delegato eletto su scheda bianca, revocabile, con mandati definiti di rappresentanza e contrattazione acquista di nuovo sua giustificazione storica. Parafrasando Brecht (= la guerra è una cosa troppo seria per i generali), la prestazione e la salute dei lavoratori è una cosa troppo seria per sindacalisti litigiosi e incapaci, per cui il tutto va restituito ai legittimi proprietari. Non mi nascondo i rischi di subordinazione o di corporativismo, meglio però della situazione attuale dove il sindacato rischia di rappresentare i lavoratori meno intraprendenti. Abbiamo bisogno, in pratica, di forme di rappresentanza unitarie che permettano “l’avventura” ai lavoratori più curiosi e intraprendenti.

Domanda: cosa ostacola il fatto che per le liste della CGIL (a partire da quelle della FIOM) ci sia una sorta di primarie, in pratica chiedere ai lavoratori delle medie e grandi fabbriche di eleggere su scheda bianca i propri candidati. Ovviamente con l’esclusione degli iscritti alle altre organizzazioni. Una volta votati la CGIL si impegna a mettere in lista i lavoratori eletti nelle primarie.

· Va da se che una ipotesi del genere sta in piedi se si immagina una pratica del tutto rinnovata dei problemi dell’informazione e della formazione non solo dei Delegati ma anche dei lavoratori, un uso delle assemblee retribuite del tutto diverso dal passato, un utilizzo nei luoghi di lavoro dell’informatica e della telematica ad uso dei lavoratori e dei loro Delegati finalizzato all’esplorazione dei diritti, alla socializzazione del meglio della contrattazione, ecc. Oggi il controllo è molto più facile che non negli anni ’70: oggi tutto passa attraverso l’informatica.
L’ipotesi sta in piedi se sa raccogliere ed aprirsi al meglio delle tensioni critiche e innovative presenti nelle altre OO.SS. con le quali nel passato abbiamo costruito una esperienza ed un patrimonio comune.

Quindi realizzando il massimo di unità tra i lavoratori oggi possibile e costruendo un nuovo compromesso tra le centrali sindacali.

Anche nelle battaglie che la FIOM sta conducendo da sola io vedo una contraddizione: solo su 10% di casi la FIOM si smarca con nettezza e con coraggio (specie da parte del suo Segr. Generale!) ma nel 90% di altri casi è coinvolta in "schifezzuole". E quindi non si capirebbe una sorta di isolamento della sola CGIL in un contesto dove la Confindustria tutta ha intenzione di “farci il mazzo” mentre i giovani (alieni da ogni ideologismo) hanno bisogno di un sindacato “utile”.

È la CGIL (assieme agli amici e ai compagni delle altre OO.SS. che ci stanno) che deve farsi carico, il che significa mettersi in discussione con il coraggio che la vecchia generazione (quella di Garavini, Trentin, ecc.) seppe fare. Questo per dare in mano ad una generazione giovane l'opportunità di farsi da sola il proprio destino.

Caro Fausto, se non ora, quando?

6° grande opera: una scuola per gli stranieri (e per gli italiani)

A quando una proposta della Sinistra Arcobaleno che permetta di andare alla costituzione di una “scuola” per i lavoratori stranieri (e anche per i lavoratori italiani) con tre “indirizzi”:

* l’indirizzo riguardante l’apprendimento della lingua, della storia, della costituzione e delle leggi italiane;
* l’indirizzo riguardante il problema dei diritti e delle strategie per applicarli (il problema del potere), quindi tutto il problema della trasmissione dell’esperienza concreta da parte di chi l’ha vissuta;
* l’indirizzo riguardante le professioni: immagino dei laboratori (officine, uffici, ecc.) il tutto volto al mercato del lavoro;

Perché lasciare tutta la partita in mano alle scuole religiose o in mano alle attuali scuole professionali a carattere pubblico con gli evidenti limiti che tutto ciò comporta?
Nel movimento ci sono eccome ancora delle esperienze e delle competenze da potere utilizzare. Peccato che attualmente sono “in sonno”.

Caro Fausto, se non ora, quando?

non so se queste cose molto concrete e perché no, ad oggi “impossibili” (?) somiglino al nostro vecchio sogno: edificare il socialismo, ma perché non tentarci? Perché non sognare di cose nostre e non lasciare migliaia di giovani (anche operai) a correre dietro ai sogni di Berlusconi! In fondo farla da protagonisti (la propria vita) è stata una bella avventura per noi e può esserlo ancora per altri giovani.
Se poi qualcuno ci farà osservare che le parole socialismo e comunismo sono oggi “fuori mercato” (per via di quello che è accaduto e di quello che accade) benissimo, a noi andrebbe bene anche "una società di liberi ed uguali". O no?



Un abbraccio da Gianni Marchetto

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